Giampaolo Mannu

Reporter, Author and Videomaker

Reportage tra i rifugiati di guerra ucraini al confine con la polonia

Viaggio tra Shehyni, Medyka, Korczowa e Przemyśl, le città al confine tra la Polonia e l’Ucraina. Qui, a due passi dalla guerra, si incrociano le storie e le vite di chi fugge dall’orrore, tra solidarietà e sogni di una rinascita. Il reportage

https://youtu.be/lDcW0Zb0I64

SHEHYNI, UCRAINA – Davanti a quella fila lunghissima e silenziosa di persone che aspettano un posto per dormire c’è uno schermo gigante. Sul led vengono proiettate le mappe con la strada che molte di quelle stesse persone hanno appena percorso e un’immagine che vale più di mille parole, accompagnata da una frase. “Польща допомагає Україні”, c’è scritto: la Polonia aiuta l’Ucraina. E sotto ci sono due cuori, uno bianco e rosso, l’altro giallo e blu: i colori delle due Nazioni. Due Nazioni che in questi giorni sembrano quasi fuse, unite. Che si sono trasformate l’una nella salvezza dell’atra. 

Perché nell’Ucraina devastata dalla guerra iniziata dalla Russia di Vladimir Putin lo scorso 24 febbraio non resta nient’altro da fare se non fuggire. Gli uomini, dai 18 ai 60 anni, restano a combattere, resistono. Ma gli altri scappano, ci provano. E così Shehyni, piccolo villaggio nell’oblast di Lviv, è diventata una sorta di terra promessa: la porta da cui entrare in Europa e scappare dalle bombe, dalla morte, dal terrore, che qui sono arrivati. Il paesino è spettrale, sembra diviso in due. La carreggiata della M11 che porta verso l’interno è deserta: ogni tanto passano delle auto con a bordo uomini in mimetica e ogni angolo è presidiato da militari armati. L’altro lato della strada è preso d’assalto: le macchine sono tutte piene, di persone e bagagli, e attendono che le sbarre della frontiera si alzino, anche se ci vorranno ore ed ore. Chi non ha un veicolo, scappa a piedi. La coda è mostruosa, sembra un infinito pellegrinaggio di bimbi, donne e anziani che trascinano faticosamente trolley e borse decisamente troppo piccoli per portare via una vita intera. E tra loro c’è anche chi nella fuga da casa sua ha perso tutto. Come un indiano di 29 anni che ha abbandonato Dnipro in fretta e furia e ha superato il confine soltanto con delle coperte addosso e nient’altro. Ora non sa che farà, spera di trovare un lavoro – deve mantenere la sua famiglia, dice -, ma intanto si sente al sicuro. 

I rifugiati a piedi a Shehyni – Foto Melley

ucraini profughi shehyni-2

A lui e a tutti quelli come lui la Polonia assicura assistenza. Perché “Польща допомагає Україні”. A Korczowa, cittadina di meno di mille abitanti nel distretto di Gmina Radymno, i negozi hanno lasciato spazio ai rifugiati. Gli ucraini vengono “prelevati” alla frontiera dai mezzi della polizia e portati nel “Centrum Handlu Korczowa Dolina”, un centro commerciale che di commerciale non ha più nulla. Sullo schermo fuori ci sono i due cuori, quello ucraino e quello polacco, mentre dentro gli store sono tutti chiusi e i corridoi, le vetrine, i grandi spazi comuni sono soltanto un’enorme distesa di brandine. I corpi distesi su quei letti di fortuna assomigliano a un drammatico “mercato umano”, fatto di disperazione e paura, anche se i bimbi trovano la forza di divertirsi e sorridere lì dentro.

L’arrivo dei rifugiati al centro di Korczowa – Foto Guarino

Frontiera Polonia Ucraina korczowa 4-3

Un po’ come accade a Medyka, altra cittadina di frontiera e altro paese in cui in una notte un mall si è trasformato in un centro d’accoglienza per i profughi, in cui le donne piangono e i figli giocano. I locali sono divisi in base alla destinazione finale dei rifugiati – chi vuole andare in Italia è nel “padiglione” tre – e c’è un gigantesco atrio in cui dorme chi ha perso praticamente tutto. Il cartello all’ingresso recita “no destination, no place to live” e mette i brividi. All’esterno e tra i corridoi corrono senza sosta i volontari con le loro pettorine gialle, su cui hanno annotato a penna le lingue che parlano. Ci sono ragazzi venuti da tutto il mondo: c’è Nicolas da Milano arrivato ai confini della guerra perché “volevo dare una mano“, c’è Aaron partito da Berlino e convinto che questa sia stata la “migliore decisione della mia vita”.

Ragazze appena arrivate a Medyka – foto Melley

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Alla frontiera di Medyka, dove il conflitto è semplicemente al di là della “linea”, ce ne sono tanti altri come loro. Una deputata svedese, Annika Hirvonen, è nel campo allestito a due passi dal confine per dare una mano: non ha nessun simbolo di partito, nessun segno evidente del suo lavoro, è lì semplicemente perché vuole esserci. La vicesindaco e l’assessore di Tavazzano, nel lodigiano, sono venuti con un furgone e un’auto pieni di aiuti e sono andati via con una donna e i suoi due figli, accompagnati in Italia. Due ragazzi, moglie e marito, hanno fatto centinaia di chilometri per salvare due adulti e sei bimbi che neanche hanno mai visto. Hanno conosciuto una di loro dopo aver dato la loro disponibilità su un form online, hanno appuntato il suo nome su un pezzo di cartone e la aspettano. Massimiliano Signifredi, coordinatore della comunità di Sant’Egidio in Polonia, fa la stessa cosa: aiuta, aiuta più che può. Mentre Kris Melzer, funzionario dell’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, si occupa dei più piccoli: le mamme, spiega, raccontano ai bambini che stanno partendo per una vacanza e che il papà – in realtà rimasto a combattere – presto li raggiungerà. Sperano che basti, pregano che sia vero. 

Una mamma con il figlio alla frontiera di Medyka – Foto Guarino

Rifugiati ucraini alla frontiera di Medyka - Foto Guarino10-2

Non solo frontiere e confini, però. Perché anche i binari polacchi e ucraini sono ormai una cosa sola. Basta entrare nella stazione di Przemyśl per essere catapultati in un angolo, sicuro, di Ucraina. Qualcuno è appena arrivato dopo un viaggio che sembrava senza fine, dopo giorni lunghissimi nei rifugi, dopo gli allarmi e le bombe.

Qualcun altro cerca di comprare un biglietto per un paese europeo, un’impresa non facilissima. Fuori dalla struttura i volontari hanno allestito un punto in cui i profughi possono prendere ciò di cui hanno bisogno e le forze dell’ordine gestiscono gli accessi, aiutando le donne a portare i bagagli troppo pesanti o a “trascinare” su per le scale il passeggino con il bimbo dentro. 

Un bimbo che gioca fuori dalla stazione di Przemyśl – Foto Melley

Stazione Przemyśl 15 foto Melley-2-2

E per chi fugge, c’è chi invece Ucraina ci va. Quattro ragazzi, due americani e due canadesi, uno di loro di origini russe, sono partiti dall’altro lato dell’Oceano e sono diretti a Kiev per unirsi alla resistenza. “Putin – affermano senza troppi giri di parole – è la persona più pericolosa del mondo”. La stessa strada la fanno centinaia e centinaia di mezzi che proprio da Medyka passano per portare in Ucraina aiuti umanitari e beni di prima necessità. A salutarli, a salutare loro e tutti quelli che vedono nell’Europa la salvezza, ci pensano le note di un musicista italiano che ha sistemato il suo strumento a due passi dal confine. Una mattina gelida suonava “Somewheere over the rainbow” di Israel Kamakawiwo’ole. Mentre al di là della frontiera infuriavano i combattimenti, al di qua si sentiva “somewhere over the rainbow, blue birds fly, and the dreams that you dream of dreams really do come true”. Una speranza che i sogni diventino realtà. Sogni di pace. Nient’altro

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